venerdì 23 settembre 2011

Pillole per chi non vuol leggere troppo


Carl Spitzweg (1808 - 1885)
Il topo di biblioteca (1850)
Museo Georg Schaefer, Schweinfurt


Sul Ghetto
Parafrasando Kennedy: “T'attacchi se aspetti ce lo Stato farà più qualcosa per te; pensa piuttosto a cosa puoi far tu per lo Stato con i brandelli di ciò che sarà costretto a buttar via”

Sulla partecipazione dei cittadini alla progettazione urbana
Il concetto di “percorso partecipato” che oggi va tanto di moda, nella realtà finisce per spesso per tradursi nell'espressione scocciata di un qualche funzionario che già deve fare miracoli per far quadrare il bilancio. Sarebbe meglio che i comitati di quartiere si adoperassero nella fase di gestione piuttosto che in quella progettuale, in modo da evitare la solita situazione di strutture bell'e pronte, vuote perché nessuno le fa funzionare (per quanto abbia sempre il dubbio che i comitati siano oggi usati in modo “terroristico” dalle parti in causa per favorire veti incrociati)

Sull'immondizia
Chi è senza peccato, getti per terra la prima cartaccia... trovare sacchetti dell'immondizia debitamente legati e abbandonati in strada fa però pensare che a mancare siano più i cassonetti che la buona volontà.

Sui ponteggi
“Junk” in inglese è un termine polivalente, che può indicare “roba vecchia” e “carne sotto sale”, ma soprattutto “spazzatura” o “droga”. Da qualche anno gli architetti indicano come “Junk-space” le aree abbandonate, e i ponteggi abbandonati (perché non più in uso o perché è finito il turno) sono i Junk space più junk di tutti. La cordata spazzatura-piscio-droga si impadronisce di queste aree celate alla luce del sole in men che non si dica, deinde: sarebbe bene eliminare tutti i ponteggi abbandonati e non necessari alla sicurezza strutturale degli edifici, e un po' di problemi sarebbero risolti.



Carl Spitzweg (1808 - 1885)
Arriva il sindaco!  (1870)
Collezione privata

Sulla politica
Il Ghetto protegge e nasconde; non tanto i delinquenti (che ce n'è fin pochi) quanto tutti quelli che, per un motivo o per l'altro, non si riconoscono nei modelli culturali dominanti. Basta fare il confronto con gli amici del comitato di Via Pré: il più eterodosso tra loro sembrava uscito fresco fresco da un programma mattiniero per famiglie di Rai Uno. Per un motivo o per l'altro il Ghetto è infinitamente meno “politicizzabile”, nel bene o nel male.


Carl Spitzweg (1808 - 1885)
Nel Ghetto (1860c.)
Museo Georg Schaefer, Schweinfurt


Sull'integrazione
Per quanto strano possa sembrare, non è un caso che in una città come Genova trans e fedeli musulmani si trovino a condividere spazi attigui: hanno tutti un particolare bisogno di riservatezza, quiete e rispetto che questa città non sembra disposta a dargli (e qui, regolarmente mi incazzo pensando che trecento anni fa le cose erano diverse sotto tutti i punti di vista e Genova, allora, era una città dal respiro mondiale). Il Compassionevole e Misericordioso perdoni questo mio accostamento, ma dal punto di vista dl quartiere, i due gruppi sono i più consistenti numericamente e i meglio organizzati. Senza il loro coinvolgimento si po' fare poco.

Sul valore immobiliare
In qualunque città d'Europa (ma non in America o in Asia, e questo è interessante...) un'area così centrale avrebbe una discreta appetibilità immobiliare. C'è sempre il pericolo che qualcuno si svegli e decida che è un peccato che qua nel Ghetto abiti gente come noi (e i ripetuti accenni al decoro da parte della Pubblica Amministrazione mi fanno sempre pensare a quello). Quindi, quando buttate anche solo una cicca per strada, pensateci.

Sull'economia in generale e il rapporto con le istituzioni
Avete visto in TV il dibattito tra Don Gallo e un nostro ex ministro che oggi pare essere a capo di una “Task Force” (Mio Dio aiutaci!) di economisti che stanno studiando la crisi. Beh, su Il Fatto Quotidiano hanno scritto che Don Gallo sembrava un esagitato mentre l'ex ministro sembrava una persona responsabile. Ora... Don Gallo è partito un po' tanto sull'aggressivo, ma le cose che diceva erano comprensibili e sensate... l'ex ministro ha inanellato una serie di “supercazzole” prive di qualsiasi attinenza alla situazione attuale, tra cui un significativo sproloquio sulla buona salute economica dell'Italia (andatevi a vedere il link sul mio post del 22 settembre: la stessa persona diceva le stesse cose dell'economia americana, qualche mese prima del tracollo del 2006-2007) e un riferimento a San Francesco particolarmente offensivo (oltre che privo di qualsiasi fondamento economico). Morale: oramai non basta più aver ragione per essere ascoltati e, soprattutto, per sembrare responsabili.


Carl Spitzweg (1808 - 1885)
Mercoledì delle ceneri (Arlecchino imprigionato) (1855 c.)
Staatsgalerie, Stoccarda


3 commenti:

  1. Un romanziere propone a un editore un manoscritto di 600 pagine. "Troppo lungo!". Dopo un mese torna con 200 p. "Troppo!" Dopo un mese torna con sole 20 p. "è troppo lungo!" Esasperato scrive su un foglietto: un uomo ama una donna che ama un altro. "Eh ma questa storia l'ha già scritta un altro!"

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  2. In una sala a luci rosse inizia il film. Lui e lei, nudi, sul letto. Lui si alza e inizia a contare: "1, 2, 3...via!".
    In sala uno spettatore si alza e se ne va, gridando "Troppa trama!"

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  3. “Basta fare il confronto con gli amici del comitato di Via Pré: il più eterodosso tra loro sembrava uscito fresco fresco da un programma mattiniero per famiglie di Rai Uno. Per un motivo o per l'altro il Ghetto è infinitamente meno “politicizzabile”.

    Proviamo a guardare più da vicino queste persone così poco eterodosse venute ad abitare nel variegato e multiforme quartiere di Pré. Sono mediamente giovani, fanno lavori “creativi”, tra di loro ci sono molti precari, il solito popolo dei co.co.co, delle partite iva e così via. Hanno “fatto famiglia” e sono riusciti a comperare casa, che a Pré costa meno. Non hanno precisamente scelto di abitare qui: volevano stare in centro, dove le cose si fanno più fitte, e hanno onestamente creduto che quell’italietta sempre sospesa tra il folklore e l’orrore, che da almeno trent’anni si rappresenta a Pré, fosse a una svolta. In effetti alcuni importanti investimenti da parte del Comune in questa direzione ci sono stati. E’ vero, non erano soldi suoi ed è stato dopo che una persona è morta per il crollo del palazzo di vico Tacconi. Tuttavia molti edifici sono stati recuperati, ci sono alcune belle attività commerciali frequentate volentieri dalla gente e, non ultimo, a Pré esiste finalmente un impianto fognario che ha ridotto gli incontri con i topi. Immaginate quale delusione sia stata il prendere atto che mentre Pré si faceva il maquillage i veri problemi restavano non solo saldamente al loro posto ma acquistavano nuovo e più potente vigore nello sfruttare la presenza degli immigrati.
    Via Pré è stata ufficialmente dichiarata dalla Sindaco la “strada multietnica”. Questo farebbe pensare all'esistenza di una politica che attraverso una programmazione accorta e lungimirante tenti di rispondere alle necessità di integrazione per i nuovi abitanti e, per coloro che c'erano già, all'esigenza di vivere in uno spazio riconosciuto e rispettato come comune. Non è andata così. Pré ha finito per comporsi alla men peggio in tante realtà separate e a sé stanti, restando per di più isolata dal resto. Se una città è sensatamente concepibile come sistema di parti che interagiscono tra loro, come in un organismo sano la circolazione non s'interrompe in nessuno dei suoi punti, a Pré, questa vitale circolazione – di persone cose e idee – si è interrotta e il quartiere ora soffre di asfissia. Lo scollamento dai normali flussi cittadini ha creato una sorta di impermeabilità, innanzitutto di tipo culturale, il cui sintomo più appariscente è la violazione continua di norme, ampiamente condivisa, riguardante l'uso dello spazio pubblico.
    Noi stiamo lavorando per riattaccare insieme i pezzi e reclamiamo degli spazi con "confini leggeri”, attraverso i quali incontrarsi e condividere l'esperienza quotidiana, che possano - importantissimo per una “strada multietnica”! - contribuire anche ad assottigliare identità e sistemi di relazione rigidamente fissati, e far finalmente emergere la percezione di un destino condiviso.
    E' pertanto politica che vogliamo andando fin nei palazzi a richiederla; ma, rigettando al mittente e sollecitando una maggiore apertura, non siamo per questo politicizzabili.

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