domenica 4 settembre 2011

Due parole su di me


Charles Mellin (1597c. - 1649)
Ritratto di Gentiluomo Senza Nome  (Johan Paul Schor ?), 1645c.
o magari
Andrea Sacchi (1599 - 1661)
Ritratto di Alessandro del Borro

Berlino, Gemäldegalerie

Guardate questo quadro. Adesso fa bella mostra di sé alla Gemäldegalerie di Berlino, dove guarda dall'alto in basso nientemeno che l'amorino musicante del Caravaggio. Quello con il pisello implume, ve lo ricordate, no?
I curatori tedeschi, nel loro tetragono perseguimento di unitarietà di tempo e di stile nelle varie sale, sembra che questa volta abbiano avuto un guizzo diabolico nel mettere l'uno di fronte all'altro l'acerbo e sorridente ragazzino caravaggesco e il trionfale gentiluomo dall'aria sprezzante raffigurato da un artista forse meno grande rispetto al maestro lombardo, ma certo geniale.
Chi è l'uomo raffigurato. Per anni lo si è creduto Alessandro del Borro (così lo registra la Fondazione Federico Zeri, accettando la vecchia attribuzione ad Andrea Sacchi) generale livornese sodale del grande Piccolomini, il feldmaresciallo dell'impero. E in effetti, il volto somiglia a quello di un altro ritratto, certamente del livornese, che ce lo mostra in posa più canonicamente marziale anche se con qualche chilo in meno. Del Borro fu condottiero di ventura negli anni della Guerra dei trent'anni; combatté per gli Asburgo, per Firenze e per Venezia e morì cinquantaseienne all'assedio di Corfù per le ferite riportate in combattimento. Si stenta a credere che un uomo di quella stazza potesse ancora muoversi nei campi di battaglia, non solo per la difficoltà di muovere tanta ciccia, ma anche per il bersaglio facilissimo che avrebbe costituito per gli archibugieri. Eppure, basta guardarlo in faccia per non dubitare che avrebbe potuto farlo. Coraggioso come Porthos, pratico come Sancho Panza, l'uomo del ritratto sembra pensare alla sua obesità come ad un trofeo da esibire piuttosto che ad un handicap di cui vergognarsi, e il pittore, molto sagacemente, dispiega tutti i soliti trucchi del mestiere per assecondarne il carattere. Come tutti i ritratti del tempo, è fatto in modo che l'osservatore si trovi letteralmente ai piedi dell'effigiato, mentre una morbida luce laterale segna le forme non solo del panciuto personaggio, ma anche di un'altrettanto panciuta colonna sullo sfondo. E qui c' è il colpo di genio: quell'ombra appena accennata che proietta l'adipe del protagonista sul fusto della colonna, di modo che l'associazione simbolica sia immediata: quell'uomo non è solo rotondo come una colonna, ma è soprattutto saldo come una colonna. Le forze del male non prevarranno su di lui.
Fantastico. Un eroe grassone. Come se il Sergente Garcia rubasse la scena a Zorro, restituisse le tasse ai peones e baciasse l'immancabile fanciulla nel finale. È davvero di Andrea Sacchi? Oggi dicono di no. I suoi ritratti sono belli, ma non sembrano aver mai queste zampate di genio. Qualcuno, di fronte alla particolarità della pennelata, o aveva attribuito al nostro Strozzi, trovando ben pochi consensi. Lo stesso per quelli che hanno azzardato la provenienza dalla cerchia del Crespi.
Così si è fatto il nome di Charles Mellin, pittore lorenese formatosi a Roma. Effettivamente ci può stare. Attivo soprattutto a Roma, dov'era molto amico di Simon Vouet, Mellin divenne così bravo che le sue tele venivano vendute già dai contemporanei come se fossero opere del più quotato Claude Lorrain (giocando sulla somiglianza tra "Claudio Lorenese" e "Carlo Lorenese") ; è di Mellin il più famoso tra i ritratti di Galileo, dove il grande scienziato pisano, ormai confinato ad Arcetri, guarda l'osservatore sogghignando, dall'alto di quella consapevolezza che gli aveva fatto esclamare “Eppur si muove” in faccia al Sant'Uffizio.
Anche l'identificazione con Alessandro del Borro ha iniziato a vacillare. L'idea di un generale dotato di un'epa così prominente non era particolarmente assurda; più improbabile il fatto che potesse guerreggiare (e sopravvivere) fino alla soglia dei sessant'anni senza soccombere per un colpo di colubrina o per occlusione delle arterie. Qualcuno propone perciò il nome di Johan Paul Schor, un rubicondo scultore tirolese collaboratore di Bernini, talmente bravo nel vari campi dell'arte da conquistarsi ben presto anche una buona fama come pittore e come architetto. la colonna farebbe allora riferimento a quest'ultima sua attività. Illustratore per Athanasius Kircher, decoratore e architetto per il papa, Schor era quindi una figura molto in vista nella Roma del tempo, non solo, evidentemente, per la sua mole.
Insomma, era un grande stratega? Oppure un artista dalle capacità proteiformi? Forse nessuno dei due. In mancanza di un'identificazione certa, i curatori tedeschi non si sono lasciati suggestionare dallo sguardo pacioso e insieme intenso che promana da quei due occhi stretti come fessure, e lo indicano come “Ritratto di Gentiluomo Senza Nome”.
Se avete avuto la pazienza di arrivare fino in fondo, avrete capito che questa non è né una critica d'arte, né una rassegna storica e forse nemmeno una presentazione. Però, se non vi siete annoiati avrete capito più cose di me di quante ne avreste potuto intuire se vi avessi descritto le solite quattro storie su dove abito, cosa faccio e sciocchezze simili.

Michelangelo Merisi detto Caravaggio (1571 - 1610)
Amor vincit omnia (1602/1603)
Berlino, Gemäldegalerie

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