sabato 24 settembre 2011

Casa dolce casa



Roy Lichtenstein (1923 - 1997)
This Must Be The Place (1965)
Museum Of Modern Art, New York

Nel libro Il quartiere del Ghetto di Genova. Studi e proposte per il recupero dell'esistente, cur. A. Buti, Nardini 2008, trovo un'interessante disanima sulla situazione del quartiere, redatta in modo molto “professionale” (non è ironia, è un complimento spassionato). Qua e là emergono tuttavia frasi preoccupanti, come quando un professore di progettazione sembra invocare l'esempio di Barcellona, dove si è spianato un intero quartiere grande quasi quanto il Ghetto e lo si è riedificato in forme moderne. Bè... la qualità della vita degli abitanti delle aree rinnovate di Barcellona non è cambiata, ma le case sono più brutte. E non è un giudizio personale: non c'è niente di peggio di una costruzione che appare già fatiscente dopo pochissimi anni.
Almeno, quelle del Ghetto sono fatiscenti dopo cento e passa anni. Dà un certo tono...
Mettiamo un attimo i puntini sulle i... a Barcellona il Raval, una volta si chiamava “Barrio Chino” e ai tempi della dittatura era considerato il quartiere più pericoloso della città. Certo vi abbondavano ladri e delinquenti, ma anche gli anarchici (prima che si estinguessero) e i comunisti. Insomma, Franco non era particolarmente amato; ma diciamo che gran parte dell'infamia dl quartiere derivava dal fatto di trovarsi sul lato sbagliato della Rambla (ed Eusebi Guell fece costruire a Gaudì il suo palazzo proprio lì perché era un tipo eccentrico quanto tosto). Con la fine del franchismo, il quartiere si risollevò più o meno come tutta la Spagna, ma la nomea rimase, spingendo i pianificatori a far piazza pulita del vecchio Barrio Chino, e con un'operazione quanto mai significativa recuperarono il vecchio nome ma demolirono le vecchie case. I sogni di gloria e di gentryfication degli immobiliaristi si sono infranti con la crisi del 2007 e il risultato è un posto triste e anodino.
Ma torniamo adesso al Ghetto. Come il vecchio Barrio Chino, anche il Ghetto non ha un nome proprio edificante, e credo che la fama di pericolosità che ho spesso avvertito derivi principalmente dal nome. Sia detto per inciso, a me piace così. Non vorrei che qualcuno recuperasse un toponimo medievale dal libro di Poleggi. Oppure pensate ad un acronimo come a New York... invece che SOHO (SOuth HOuston Street) o NOLITA (NOrth Little ITAly) qualcosa tipo MESONU (quella MErda SOtto la NUnziata). No... Ghetto mi piace. Sa di internazionale e di cittadino assieme.
Per quanto riguarda la delinquenza, lo confesso... da qualche anno che sono qua ho visto solo spaccio (a volte poco, a volte tanto, a volte decisamente troppo) e una volta (ma sono sicuro che ce ne saranno state di più) ho assistito ad uno scippo. Ah... ci sarebbero molti clandestini, cosa che, a quanto ne ho capito, in Italia costituisce reato. Per quel che riguarda la prostituzione, sinceramente dal punto di vista legale, non ci ho ancora capito niente. Quello che so è che nel condominio dove abito nessuno è mai stato arrestato o inquisito (una percentuale dello 0 %), mentre nel Parlamento italiano oscilla tra il 6 e l'8 (secondo alcune stime il 10). Quindi, secondo questa discriminante, prima del Ghetto, dovremmo tirar giù Montecitorio (salviamo il fregio di Sartorio che è pompiere ma mi piace) e Palazzo Madama.
Al di là degli scherzi, quando ho letto qualcuno che proponeva di “fare come a Barcellona”, prima ho pensato ad una politica di piccoli interventi puntuali di riqualificazione – più di arredo che di edificazione – come aveva fatto Bohigas negli anni Ottanta (e con ottimi risultati) e solo dopo ho capito che parlava di ruspe...
Intendiamoci, nel Ghetto ci sono alcuni isolati seriamente ammalorati da un punto di vista strutturale... nel centro storico ce ne sono meno di quel che si pensi, ma ce n'è... e quelli vanno monitorati con attenzione, Se il loro recupero risultasse antieconomico, bisognerà procedere ad una loro ricostruzione.
Qualcuno dice che, dato che dal punto di vista storico e architettonico non valgono niente, non sarebbe un gran danno demolirli assieme a quelli che gli stanno a fianco. Ne siamo sicuri?
A Genova abbiamo già demolito la vecchia caserma dei pompieri davanti a Sarzano, perché non valeva niente né storicamente né architettonicamente; adesso al suo posto c'è un campo di calcetto in sintetico e un parcheggio. Mah.... Vogliono demolire il Silos Hennebique perché non vale niente né storicamente né architettonicamente, e al suo posto tirar su un “qualcosa” il cui progetto e la cui destinazione d'uso cambiano di continuo, quindi prepariamoci a un campetto di calcio in sintetico e a un parcheggio.
Da un po' di tempo ho l'impressione che chi sentenzia la mancanza di interesse storico o architettonico negli edifici spesso ciurli nel manico... La vecchia caserma dei pompieri era una costruzione che poteva piacere o non piacere, ma era comunque caratteristico di un'epoca, e poi, per un certo tempo, era stata utilizzata per accogliere le famiglie di emigranti che arrivavano a Genova in attesa di partire per l'America. Un bel pezzo della nostra storia. Oggi non avete idea di quanti sono i turisti americani o brasiliani che vengono in città per vedere il porto da cui erano partiti i loro nonni e, forse, quello sarebbe stato un posto che gli sarebbe piaciuto vedere (dei patiti di musica che vagano per il Centro dei Liguri alla ricerca della casa natale di Paganini non parlo nemmeno)
L'Hennebique, da parte sua, architettonicamente parlando è ancora un titano: quando venne costruito era il più grande edificio in cemento armato del mondo; nel 1927 fu l'unico edificio italiano ad essere citato nell'epitome sulle più importanti costruzioni del tempo redatta dal Platz, uno dei testi più influenti di tutta la storia dell'architettura moderna. E, storicamente, fu nientemeno che il granaio della nazione... è vero che serviva agli imprenditori per accumulare scorte così da venderle nei momenti più favorevoli, ma andate a vedere l'aspetto che ha dalla punta dei magazzini del cotone: immenso. Come diceva Platz, era l'unico edifico italiano che potesse stare alla pari con i modelli degli antichi romani. Oggi vorrebbero buttarlo giù.
Per questo ci andrei piano nel giudicare gli edifici del Ghetto irrilevanti. Anche loro hanno la loro brava storia. Si tratta di costruzioni medievali riattate nel corso del XIX secolo, e quelli che ci misero le mani erano maledettamente bravi. Pensate cosa significa prendere un palazzo antico e ricostruirne gli appartamenti dall'interno senza far venir giù tutto. Se fosse facile, oggi cercherebbe di fare la stessa cosa invece di butta giù tutto. Inoltre, dato che erano bravi, per gli appartamenti ripresero la distribuzione degli alloggi altoborghesi anche se erano case per operai; allo stesso modo, per le finiture chiamarono quegli stessi artigiani che in città lavoravano per committenze ben più prestigiose, come i palazzi attorno a Via XX settembre o quelli di Circonvallazione a mare. Sotto l'intonaco di casa mia, spuntano fregi dipinti... fregi dipinti! In una casa operaia. All'epoca, a Genova, gli alloggi popolari erano qualitativamente tra i migliori d'Europa. D'altra parte il Comune mandava i suoi funzionari in giro per il mondo a studiare quali fossero le soluzioni più efficaci per i problemi costruttivi o urbanistici. Gli architetti e gli ingegneri di quel tempo sono stati quasi completamente dimenticati: Severino e Renzo Picasso, Cesare Gamba, Cesare Parodi... Secondo me, qui nel Ghetto ci mise le mani Francesco Ponte, non un ingegnere, ma un imprenditore specializzato nel ristrutturare edifici fatiscenti, magari accorpandoli e svuotandoli... però per esserne sicuro dovrei fare un po' di ricerche d'archivio che una volta o l'altra mi metterò in testa di fare.
Insomma, anche le case del Ghetto hanno una loro storia, e sono infinitamente più comode e meglio costruite rispetto a qualunque analogo costruito negli ultimi quarant'anni (vedere per credere). E non sto parlando dei palazzi targati UNESCO di Via Lomellini o delle dimore nobiliari di Via del Campo ma delle case sine nobilitate di Vico Croce Bianca, dove un qualche imprenditore senza nome dell'Ottocento è stato in grado di operare una ristrutturazione che oggi farebbe tremare qualsiasi architetto. Ne ho visto qualche esempio in giro nel Centro Storico e mi sono terrorizzato, ma questa è un'altra storia...


Maurits Cornelis Escher (1898 - 1972)
Relatività (1953)

3 commenti:

  1. No. Sarebbe piaciuto vedere un edificio agli eredi dei migranti, se CHI DI DOVERE ci faceva un museo tematico: ma passare davanti a un palazzo fatiscente e chiuso non interessa a nessuno.

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  2. scusi architetto ma visto che scrive sempre così tanto perchpè non ne stampa un libro?

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  3. I palazzi fastiscenti e chiusi hanno un loro fascino,,, ho visto delle città intere così: Tbilisi, Konya... si, mi hanno fregato il portafoglio, ma avevano un fascino incredibile (e poi i soldi li tenevo da un'altra parte). In Italia di bravi per i musei ci sono solo quelli di Studio Azzurro, che i abbiamo anche chiamati al Mazziniano, ma chissà perché quando la gente arriva a Genova sembra che si rincitrullisca...

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